Se solo la polizia fa notizia in periferia

di Olly.

 

Mi ritrovo ad
aprire la mia copia del fatto quotidiano stamani, aspettando che il
piccì si sgranchisca l’hard disk, e subito una notizia mi salta agli
occhi: “Piano sicurezza: Tor Bella Monaca resta senza polizia”.
(Tor Bella Monaca è un quartiere molto periferico di Roma, famoso
per la diffusa criminalità, n.d.O.)

 

 

Finalmente,
penso. Finalmente anche quelli al di là del Raccordo Anulare fanno
notizia. Se ne parla. Si discute.

Non faccio
nemmeno in tempo a finire il pensiero, che mi rendo conto che
l’articolo è una mera riflessione su quanto sia poco funzionale il
piano sicurezza di berlusconi: ma ché, davero?

Oggetto della
notizia è che chiuderà l’unico commissariato di polizia in una zona
così disagiata. Il più vicino è a circa nove chilometri. Il resto
dello spazio (alla nona pagina del quotidiano, comunque) è riservato
alla raccolta firme che il pd sta organizzando per non far chiudere
il commissariato (no comment).

Non volevo dirlo,
ma sono costretta: di male in peggio.

Era meglio se la
notizia fosse passata sotto silenzio, dico io.

Perché anche
questa volta la riflessione non c’è stata?

Come possono
realmente credere che il punto della questione sia quanta polizia c’è
in un quartiere?

Il Fatto dà voce
ai poliziotti, gli stessi che sgomberano i campi Rom, e che si
preoccupano di eseguire gli ordini facendo cordoni intorno ai
campi-ghetto. Gli stessi che ammazzano un ragazzo di trent’anni in
prigione, che, manco a dirlo, era di Tor Pignattara, un quartiere
pieno di tanti problemi, e di altrettante possibilità: noi non
abbiamo bisogno di polizia. Un commissariato è stato chiuso? A me
non importa. Parlo a nome di tutti quelli che non vogliono uno Stato
in mano ai poliziotti e alle guardie, parlo a nome di quelli che non
vogliono che l’esercito diventi una società per azioni. Parlo a nome
di quelli che credono nell’antifascismo. La sicurezza non si fa coi
commissariati. La sicurezza si fa con la cultura: costruire teatri (a
Tor Bella Monaca ce n’è uno, per esempio), parchi, scuole, asili,
centri culturali, biblioteche.

Iniziative
culturali durature nel tempo.

Forse questo lo
dovrebbero capire il signor travaglio, il signor di pietro. Forse non
hanno capito che la politica non si fa con i processi, ma con la
cultura. Che la nostra è una battaglia affinché le persone si
sentano libere, e in uno Stato in cui sicurezza fa rima con polizia,
in cui un evento come Take Back the Night (Riprendiamoci la notte)
organizzato da un gruppo di attiviste femministe al quartiere
Esquilino il 21 novembre (che non ha fatto notizia), per dire no allo stato di polizia che ci vuole in casa
entro le nove di sera per paura dell’immigrato cattivo, in questo
tipo di Paese, il problema non è il commissariato che non c’è, la
polizia che non può intervenire: il punto è prevenire,
culturalmente, determinati problemi.

Ma la cultura non
fa notizia, si sa.


#la foto in alto l’ho trovata in giro nel web#

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La Ministronza 2: Alessio Spataro in periferi(c)a

di
Olly e Clito.

 

Presentare
libri, fumetti, opere d’arte ecc in quella Periferica brutta e piena
di vita non è cosa da tutti: ma c’è chi, come Alessio
Spataro
, giungendo a cavallo della sua vespa azzurra e bianca con
un logo stile polizia municipale che recita “Pazzia” sul davanti,
decide di presentare il suo nuovo fumetto, “La Ministronza 2”,
che uscirà il prossimo aprile, in un quartiere di confine tra la
periferia e il centro di Roma, il Pigneto.

Alla
libreria L’Eternauta, in via Gentile da Modigliano 184, il 30 gennaio Spataro ha
dato il via insieme all’editrice Silvana della casa
grrzetic
la prima tappa di un tour che coinvolgerà varie
librerie d’Italia.

L’incontro
che si è svolto ieri nella periferi(c)a romana è stato molto
interessante: oltre, ovviamente, alla presentazione del secondo
volume de “La Ministronza”, fumetto liberamente tratto dalla
storia della ministra Giorgia
Mecojoni
(clicca sul nome: giorgetta ha un blog!), Alessio Spataro ha spiegato le ragioni di alcune scelte
contenutistiche per le quali è stato accusato di sessismo e
maschilismo da più parti. Inoltre (al contrario di molti giornalisti
e vignettisti satirici e non), non si è fatto problemi a comunicare
al pubblico la sua avversione per ogni tipo di fascismo.

La
maniera con cui Spataro ha esposto le proprie perplessità alla
levata di scudi generale di tutte le forze politiche all’interno del
parlamento (forze politiche da lui stesso definite tutte tendenti a
“svariate tonalità di marrone” più che a colori politici
differenti) intorno alla povera giorgia meloni, aggredita tanto
violentemente, è stata assolutamente ineccepibile.

Semplicemente
il disegnatore catanese ha fatto della verità e di principi
inalienabili (come l’antifascismo, ad esempio) le colonne portanti,
prima della sua opera, e poi delle repliche al linciaggio mediatico
che molti hanno tentato di effettuare (che sembra non aver fatto
presa sui fan di Spataro). Vista in quest’ottica mettere giorgetta
accanto a sorci grossi come scimmie è assolutamente giustificato
dall’assioma fascista=topo di fogna, come pure ritrarla mentre non
adempie a nessun particolare impegno mentre si trova “al lavoro”
è giustificato dall’assioma ministero della gioventù=ministero
inutile.

Semplicemente
Spataro ha voluto scoprire la realtà da quel velo ipocrita che anche
(pseudo) giornali e (pseudo) giornalisti “di sinistra” calano
ogni giorno sulle faccende politiche italiane, uno tra i tanti luca
telese, autore del libro (imperdibile montagna di letame) “cuori
neri” e di Tetris, trasmissione che ha ospitato buffoni quali il
futurista che colorò la fontana di Trevi a Roma.

Dire,
quindi, che la meloni è una nostalgica nullafacente messa in quel
posto solo ed esclusivamente per attrarre neofascisti nell’orbita del
popolo delle libertà non è calunnia, ma verità nemmeno tanto
velata dai diretti interessati, visto che la meloni non perde
occasione di ricordare a tutti che il ventennio non è stato tutto
male e che la carogna di mussolini (messa a marcire a Predappio)
meriti pellegrinaggi.

Insomma,
Alessio è apparso davvero genuino e per niente forzato. Abbiamo
avuto la possibilità di apprezzare, appese sugli scaffali della
libreria, le tavole originali fatte nottetempo dal vignettista. Alla
fine della presentazione, ce ne siamo andati via con la nostra copia
della Ministronza autografata da un suo disegno fatto sul momento.

Una
bella iniziativa che dovrebbe far riflettere i/le tanti/e artisti/e
che preferiscono raccogliere consensi nelle belle librerie del centro
lucidate apposta per l’occasione e frequentate da un pubblico
selezionato, piuttosto che potersi confrontare con lettrici e lettori che non risparmiano niente a nessuno.


#in alto, la copertina de "La Ministronza 2", in uscita il prossimo aprile#

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Spazi sottratti in via di rivendicazione.

di Olly

Ieri sera una signorina dalla voce impostata, addestrata per
nascondere il proprio accento straniero, mi chiama al telefono per un
sondaggio preelettorale.

Il questionario era stato formulato apposta per gli abitanti delle
periferie nel Lazio, al che mi sono sfregata le mani e ho ascoltato
con molta attenzione le domande che mi venivano poste: l’inchiesta
ruotava intorno alle prossime elezioni politiche regionali, in
particolare sulle figure della Bonino e della Polverini.

Ecco come si è svolta: 

la signorina al telefono, molto probabilmente di origine
sudamericana, mi legge delle dichiarazioni pubbliche fatte dall’una e
dall’altra candidata, dichiarazioni pressocché identiche sui
temi più gettonati in campagna elettorale: più spazi
per i gggiovani, meno spazzatura per tutti, meno inquinamento
in città. Ad ogni affermazione dovevo esprimere un giudizio
qualitativo (ottimo, buono, poco buono, pessimo).



Inoltre il sondaggio si proponeva di capire quanta credibilità
avevano le candidate attraverso domande del tipo: "Che voto
darebbe alla tenacia di Emma Bonino?" oppure "Che voto
darebbe all’empatia di Renata Polverini?".
L’intervista si è
conclusa con uno stupefacente: "Quanto è cattolica?
(rivolto a me, n.d.O.). Poco, abbastanza, o molto?".

 Insomma, siamo alle solite.

Non voglio affrontare in questa sede il discorso della sinistra e
della destra, non voglio scadere in ovvietà, e oltretutto
tengo molto ad un concetto che ho affermato anche qui, ovvero: ogni
volta che si pone una questione, la riflessione si sposta
inevitabilmente dai soggetti che la subiscono, al politicante di
turno che fa o non fa delle cose.

In accordo con la policy di questo blog, colgo l’occasione del
sondaggio elettorale che mi è stato fatto per invitarvi a
riflettere su quanto e come le periferie vengano considerate come
luogo passivo sulla cui pelle svolgere le varie campagne elettorali,
imbrattandone i muri, molto spesso, di cartelloni anche abusivi.

Di abusivismo nelle periferie ne potremmo parlare per ore, perché
ce n’è veramente di tutti i tipi. A me interessa, però,
quanto effettivamente questi sondaggi siano utili nella pratica
politica di tutti i giorni. Mi spiego meglio: se la Polverini o la
Bonino o chiunque sotto campagna elettorale afferma delle cose, si
presume che dall’altra parte ci sia una replica, una risposta.
Ebbene, questo non avviene mai. Non c’è mai una risposta, né
tantomeno ce la si aspetta.


E’ come se io parlassi con te, che stai leggendo, senza
considerare nemmeno la possibilità che tu possa replicare.
Questo si chiama discorso unilaterale.

Nel discorso unilaterale solo il primo che parla verrà
ascoltato, ma può parlare proprio in ragion del fatto che
esiste quell’Altro che gli permette di dargli argomento di
discussione.

Perchè esiste questa passività nel discorso politico
nelle periferie?

E’ un discorso complesso e lungo, che è stato ben
analizzato in una ricerca sociologica che vi invito a leggere, che si
chiama “Periferie. Da problema a risorse.” di Franco Ferraroti e
Maria Immacolata Macioti.

La ricerca, che verte proprio sulle periferie romane, rileva come
siano praticamente assenti i partiti in queste zone, mentre siano
molto più attivi i centri sociali, luoghi dove c’è
partecipazione politica attiva. Le persone che vi fanno parte
discutono di problemi quali la casa, il lavoro, la scuola,
l’università, Offrono spazi per attività culturali più
o meno interattive, mostre fotografiche e artistiche, visione di film
a poco prezzo, se non addirittura gratuitamente o a offerta libera, e
in alcuni centri sociali, addirittura, c’è una palestra
“popolare”, accessibile a tutti/e perchè la quota mensile
è economica.

Gli spazi dei centri sociali sanno di rivendicazione dei propri
spazi, troppo spesso occupati da persone che non la vivono, la
periferia.

Cosa che fanno, i/le candidati/e in fase preelettorale, quando sgomberano la popolazione Rom, e in generale quando si vogliono fare
mera pubblicità. Quello che fanno non è guadagnarsi uno
spazio, ma comprarselo. E la differenza c’è, perchè il
valore è completamente diverso. Anche se il concetto di valore
sembra essersi estinto, in realtà in alcune zone è
ancora presente.

Il valore non c’è, non c’è nemmeno lo sforzo che sta
alla base, se si paga uno spazio. Si dice che è ovvio pagare
per pubblicizzarsi. E’ ovvio entro una certa mentalità
borghese. Non è ovvio, o almeno, non è accettabile, se
i cartelloni elettorali inquinano la mia città Periferica, io
che non mi sono mai acquistat@ uno spazio di visibilità. Al
centro della lunga via Palmiro Togliatti, per esempio, ci sono delle
aiuole verdi, puntualmente rovinate da gigantografie del/della
politicante di turno.

E’ lì, in quella via desolata e grigia, dove gli unici
colori sgargianti a spiccare sono quelli dei cartelloni pagati una
marea di soldi, che Periferica mostra il suo sguardo più
triste. Ma che chiede allo stesso tempo ulteriore rivendicazione.

E ti dice che l’uso partitico della periferia come bacino di vita
inerme e passibile, bacino dove raccogliere voti per poi usarne il
potere, non è giusto. E’ un esproprio della propria identità,
pagata bei milioni.

Perchè anche l’identità ha un prezzo, in Periferica.

#La seconda e terza foto sono state scattate al Forte Prenestino. Tutte e tre sono opera di giuLia . Se ti sono
piaciute clicca qui per vederne altre
#

——-> il blog in questo momento ha alcuni problemi tecnici
(contatti e commenti), e poi stiamo imparando a personalizzare il
blog. Se hai difficoltà a commentare o a contattarci, scrivi a
questo indirizzo: bamboo@inventati.org

 

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Diritti e giustizia? Sì, ma solo se sei arian@.

di Olly

A Roma, proprio ieri, è iniziato lo sgombero del Casilino 900, il più grande campo Rom di Roma, quello storico, nel senso che storicamente è il simbolo del male della capitale. Gli sgomberi, di cui quello di ieri è solo il primo di una serie, sono il risultato di una politica promossa dal fascista Alemanno, politiche denunciate severamente da molte onlus che promuovono i diritti umani, una tra tutte  Il  Gruppo EveryOne, che ha cercato di richiamare l’attenzione su ciò che in Italia sta succedendo alle popolazioni tsigane. Da Bruxelles, quando la stessa onlus denunciò l’attuale legge che regolamenta l’immigrazione, (legge numero 94/2009) non giunse alcuna risposta. 

Figurarsi ora.
Il  Comune di Roma ha speso venti milioni di euro per distruggere le case dei Rom, per riadattare gli stessi campi a ghetti presidiati dalla polizia ventiquattro ore su ventiquattro.
Ovviamente a nessuno è importato nulla  quando, ieri, a Roma, è iniziata questa distruzione selvaggia, la stessa notizia data da Repubblica.it è un elogio ad Alemanno, praticamente, che non dà realmente nessuna informazione.

La realtà è ben diversa da come la vogliono raccontare Repubblica e i suoi amici: la realtà è che, oltre alla distruzione delle loro case, i Rom verranno condotti in posti presidiati, come se il vostro condominio, all’entrata e all’uscita avesse un cordone di polizia. Inoltre nei nuovi ghetti non potranno entrare persone non-Rom, si dovrà rispettare il cosiddetto "patto di socialità" (il solo nome fa rabbrividire): ogni campo avrà regole autonome dagli altri, da rispettare.

Non stupisce che questa cosa sia avvenuta per mano di Alemanno e del suo amico Pecoraro, che hanno imbrattato, anche abusivamente, le periferie di Roma con dei bei cartelloni in cui si vantavano della loro fascio-impresa.

Stupisce però che tutte quelle voci che ultimamente si levavano a favore di una giustizia più severa e meno personale per il presidente del Consiglio, abbiano però miseramente taciuto di fronte ad una così grande violazione dei diritti umani basilari. Non che non sapessero. La notizia ha circolato per parecchio. 

La sensazione è che ai vari Travagli e Santori, per rimanere nella sfera del giornalismo giudiziario, piace molto usarelo strumento giudiziario per la lotta sociale, strumento che però non vale più se si tratta di una lotta per i diritti. 

Dove sono tutti questi bravi giornalisti, (bravi perchè sono tanto abili a leggere liste di reati) quando c’è da difendere persone i cui corpi vengono usati come scudi per nascondere il proprio passato fascistoide?

Ché, forse, i giornalisti di cui sopra non sanno, o fingono di non sapere, che i Rom sgoberati finiranno in situazioni ben peggiori di quelle in cui vivevano prima di lasciare questi campi? Non sono interessati a ciò che avviene nei CIE?

Pare che ci sia una linea, molto netta, che non vuole essere superata da queste persone, la linea che divide i "bravi e onesti cittadini" da quelli per cui questa nozione, "cittadino", vale un po’ meno. 

Quanti, tra quei Rom, sono italiani?

Non dimentichiamoci, comunque, che questo tipo di giornalismo si occupa anche di fornire, puntuale una volta a settimana, il servizio sul povero negretto sfruttato. Si preferisce un negro ad un altro. 

Si è preferito Rosarno, ai Rom. Non perché gli sfruttati di Rosarno fossero più simpatici dei Rom, ma perché Rosarno poteva far parlare di quanto fosse poco efficiente una certa politica al Sud nel contrastare la mafia. 

Quei migranti non saranno più interessanti, tra una settimana. Come non lo sono più stati i Rom dopo l’omicidio di Giovanna Reggiani, che ha permesso al fascio Alemanno di stare in Campidoglio. In maniera differente, la storia si ripete inesorabile, e la riflessione – fateci caso – si sposta sempre dalle politiche sociali carenti che si ripercuotono sull’emarginat@ di turno, alla vicenda giudiziaria di colui o colei che non attua queste politiche sociali, che finisce per scadere in un certo moralismo anche un po’ forcaiolo e sterile.

Vi dico come la penso: le persone non sono "emergenza". Le persone non ruotano attorno alla figura di un politico, che fa o non fa delle cose. Le persone hanno dei diritti, ne devono poter godere totalmente. E la godibilità degli stessi non dipende dal voto, o almeno non solo da esso. Dipende anche dal cambiamento della nostra percezione: una rivoluzione personale, che parte da un bisogno di cambiamento nel sentire una realtà con cui si è a contatto. 

Iniziare da qui, è iniziare a considerare in modo diverso Periferica.

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Periferica si presenta

di Olly e Clito.

Periferica è un blog che nasce in un appartamento romano, da un’esigenza molto semplice: veicolare la nostra rabbia, trasformarla in un progetto.

Non siamo un collettivo, non siamo organizzati: studiamo, lavoriamo, prendiamo i mezzi e più in generale, respiriamo l’aria delle periferie. L’unica cosa che abbiamo in comune è la tendenza a osservare le cose: cerchiamo di non farci scappare niente.

L’idea di un blog nasce perché ci è sembrato stupido rimanere in queste quattro mura a darci ragione, quando la rete offre possibilità ben più ampie: la possibilità di confrontarsi, magari, con altre "Periferica".

Questo spazio ha fonti geograficamente limitate, perchè i creatori e le creatrici vivono in una zona Periferica d’Italia. Noi vogliamo dare voce a tutto ciò che di "Periferica" c’è nel mondo, dalle banlieu di Parigi, ai quartieri poveri di Calcutta, passando per Napoli e Londra.

Come non poter rifiutare, quindi, l’idea del copyright? Condividete tutto il materiale che vi offriamo, e voi, se potete, offritene altro a noi, ne vogliamo e ne abbiamo bisogno! Ovviamente la possibilità di condividere tutto deve essere fatta con intelligenza: aiutateci a diventare grandi. Aiutateci a far diventare Periferica una voce, perché noi partiamo volendo aiutare noi stessi, innanzi tutto, e di conseguenza tentare di far uscire gli/le altri/e dallo stato di pregiudizio ed ignoranza che ruota intorno a tutte le realtà che non si conoscono o che non si vogliono conoscere.

Oltre ad essere contro il copyright, Periferica è uno spazio antifascista (non vediamo l’ora di parlarvi di casapound), antirazzista (non risparmieremo nemmeno un leghista in circolazione, e nemmeno chi non sa di esserlo) e antisessista (avoja a parlà!).

Questo spazio vuole promuovere con tutti i mezzi di cui dispone la circolazione di idee, di informazione e di materiale di qualsiasi tipo sulla Periferica che c’è in voi. Quindi se volete raccontare qualcosa, condividerla con noi, vi preghiamo di usarci come mezzo informativo. 

Ci piacerebbe inoltre rendere questo uno spazio multietnico: la maggior parte  degli/delle utenti del web sono italiane/i, Periferica vorrebbe dare voce anche agli/alle straniere/i: se non sei italian@, stai leggendo queste parole e hai vissuto un’esperienza che vuoi condividere, saremmo lieti/e di farlo: nel caso tu non volessi esporti ti garantiremo il più totale anonimato. 

Infine, ci proponiamo di veicolare la rabbia di chi scrive nelle menti di chi legge, in maniera che questi senta il bisogno di divenatre parte attiva nella lotta per una società migliore. Sì, è un obiettivo abnorme per una piccola realtà, ma noi ci proponiamo di dare impulso alla creazione di tante piccole realtà, che possano incidere sulla grande realtà che viviamo tutti i giorni. La grande realtà che ci propone ignoranza, razzismo, soprusi sociali e xenofobi.

Se pensi anche tu che tutto ciò vada combattuto, sappi che non sei sol@.

Benvenut@ a Periferica. 

 

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