Cronaca di una crisi.

di Clito.

Ed eccomi nuovamente qui, a scrivere sull’onda di un consiglio e di un’incazzatura sorda. 


Innanzitutto tenterò di spiegare cosa intendo per incazzatura sorda: intendo una di quelle incazzature che non ti fanno lanciare le cose per aria, o urlare o picchiare qualcuno. 

E’ l’incazzatura di chi assiste ad un fatto sgradevole senza poter fare nulla e, peggio ancora, non rimanendo nemmeno 
sorpreso del fatto che sia successo.

Lavoro in un’enorme compagnia telefonica italiana (sapete di chi sto parlando…) e in questo posto 

la crisi è talmente tanto vera che distrugge la dignità delle persone. Sì, sembra una frase retorica, 

invece è proprio così. Che tu sia giovane o avanti con l’età, che tu sia serio e qualificato o un nullafacente, 
che tu abbia dei bambini da mantenere o una casa in affitto (affitto usuraio, anche se stai in mezzo alla periferica 
romana e non dentro al colosseo, e chi ha orecchie per intendere intenda). 

Uno degli avvenimenti di cui sto parlando è accaduto proprio pochi giorni fa, un collega, che conosco ormai da più 
di un anno (pur non essendoci propriamente amico) viene mandato via dalla propria azienda, gli viene tolto il lavoro 
l’ultimo giorno del mese, dall’oggi al domani, con una breve telefonata e senza che responsabili dell’azienda in questione per i quali 
lavora da dieci anni, si disturbino di informarlo di qualcosa prima del tempo. 


Nel mio settore, i colleghi senza contratto fisso, come me, all’inizio della crisi erano sette. 

Tutti sono stati mandati a casa, tranne me. E sto parlando dal momento in cui la crisi è diventata famosa, perché se parlo anche per i mesi precedenti allora la cifra dei colleghi cacciati sale, e di parecchio.

Tutti uguale, una telefonata e via, dall’oggi al domani. Le cause, qualche tempo fa erano: guadagni troppo, fatturi poco, non sei previsto nel bilancio, ora sono diventate: non possiamo pagarti, mi spiace ma i business si fanno per fare soldi, non per perderli.

L’altra cosa che ha prodotto l’incazzatura sorda, invece, è la lettera, pubblicata qualche tempo fa, sul corriere della sera 
(alla trentaseiesima pagina, se non sbaglio. Ahah.) da 2200 impiegati dell’azienda per cui lavoro (di un settore che lavora a contatto con il mio) che verranno "esternalizzati". Per chi non sa cosa significa esternalizzare, la spiegazione più veloce e pratica può essere riassunta in una parola: guai. 

 
Bene. A questo punto potrei mettermi ad elencare i problemi che questi licenziamenti causeranno ai miei ex colleghi, 
potrei dire che qualcuno aveva più di un figlioletto da sfamare, qualcuno era venuto a Roma da molto lontano, perché 
in Italia ci sono posti addirittura più disastrati di Roma (che già da sola sembra la Berlino del secondo dopoguerra) 
ma tutto ciò sarebbe davvero scontato e noioso, a mio avviso.

Preferisco porre l’attenzione sul totale sfacelo del mondo del lavoro e sull’inesistenza di tutela sindacale di moltissime 
persone. Se vi dicessi che il governo, anzi, che tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi vent’anni hanno abolito i sindacati, come la prendereste? Penso male, eppure è proprio quello che la nostra grandiosa classe dirigente 
e politica sta facendo. Contratti che spezzano i lavoratori, aziende che assumono a partita iva (le famose false partite iva, di cui faccio poco orgogliosamente parte) ragazzi, più o meno giovani, anche avanti con gli anni e con molta esperienza, che risultano essere dei liberi professionisti, ma non lo sono, pagano cinquemila euro allo stato ogni anno e praticamente non hanno possibilità alcuna di difendersi anche solo da vendette personali di manager influenti e col culo parato. Possiamo poi parlare dei contratti trimestrali che permettono alle aziende di mandare via gente laureata, specializzata e che lavora sodo, senza né una causa (giusta o sbagliata che sia) né un avvertimento. 

Non ti rinnovo e te ne vai, punto. Il bello è che le aziende di cui parlo si arricchiscono in maniera vertiginosa, fusioni, vendite di immobili, agevolazioni statali eccetera. E comunque, quando arriverà "la crisi" sarà l’ultimo anello della catena a subirne le conseguenze, sarà l’unica persona che permette di far andare avanti "il sistema" che verrà travolta. 


Questa è la situazione nella più grande azienda telefonica d’Italia e in molte altre aziende legate a quest’ultima, fra le quali spiccano nomi abbastanza noti (guardate le marche del vostro telefonino).

A voi studenti, se siete all’ascolto, voglio dire una cosa, un pensiero: sappiate che vi sputeranno in faccia nella stragrande maggioranza dei casi. 

Quindi se volete studiare e rimanere in Italia, studiate ciò che preferite, quello che vi piace, siate felici di quel che 

fate momento per momento. E lottate, perchè nessuno lo farà al posto vostro, lottate per i lavoratori e le lavoratrici di oggi, perché potreste diventare come loro domani, lottate per il diritto allo studio e alla dignità della persona. Lottate, oppure (e non vi sto consigliando di farlo), scappate il più lontano possibile da qui. 


 


Allora dove voglio arrivare? Arrivo che mi sono rotto e decido di dare il benservito alla mia azienda, io per primo. La cosa è assolutamente irreale. Tutti i miei colleghi volevano mantenere il lavoro che svolgevano onestamente da anni ed io, l’unico ad averlo mantenuto, quel lavoro, lo vuole buttare via. Sì, perchè la dignità è un diritto, checchè ne pensino i professoroni del "ora le cose vanno così, che vuoi farci?". Io non posso lottare solo contro i capi e capetti che costellano questo posto e non ho un cazzo di nessuno al quale rivolgermi (e sto parlando di colleghi, non di sindacati, per carità, avere un sindacato mi sembra davvero una pretesa troppo grande), quindi basta. Tornerò a studiare, come vi ho modestamente consigliato qualche riga fa (sarebbe la seconda volta in vita mia che seguo un consiglio che viene dalla mia testa), e continuerò a lottare, nel mio piccolo.

 
Epilogo.
 
Ho chiamato il mio tramite in azienda e gli ho detto: "Se non ci sono novità io andrei, se volete trovarmi un sostituto mandatelo, gli farò formazione e poi addio". Sembra che l’abbiano presa bene. Perfetto. Arrivederci e grazie.

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