Cronaca di una crisi.

di Clito.

Ed eccomi nuovamente qui, a scrivere sull’onda di un consiglio e di un’incazzatura sorda. 


Innanzitutto tenterò di spiegare cosa intendo per incazzatura sorda: intendo una di quelle incazzature che non ti fanno lanciare le cose per aria, o urlare o picchiare qualcuno. 

E’ l’incazzatura di chi assiste ad un fatto sgradevole senza poter fare nulla e, peggio ancora, non rimanendo nemmeno 
sorpreso del fatto che sia successo.

Lavoro in un’enorme compagnia telefonica italiana (sapete di chi sto parlando…) e in questo posto 

la crisi è talmente tanto vera che distrugge la dignità delle persone. Sì, sembra una frase retorica, 

invece è proprio così. Che tu sia giovane o avanti con l’età, che tu sia serio e qualificato o un nullafacente, 
che tu abbia dei bambini da mantenere o una casa in affitto (affitto usuraio, anche se stai in mezzo alla periferica 
romana e non dentro al colosseo, e chi ha orecchie per intendere intenda). 

Uno degli avvenimenti di cui sto parlando è accaduto proprio pochi giorni fa, un collega, che conosco ormai da più 
di un anno (pur non essendoci propriamente amico) viene mandato via dalla propria azienda, gli viene tolto il lavoro 
l’ultimo giorno del mese, dall’oggi al domani, con una breve telefonata e senza che responsabili dell’azienda in questione per i quali 
lavora da dieci anni, si disturbino di informarlo di qualcosa prima del tempo. 


Nel mio settore, i colleghi senza contratto fisso, come me, all’inizio della crisi erano sette. 

Tutti sono stati mandati a casa, tranne me. E sto parlando dal momento in cui la crisi è diventata famosa, perché se parlo anche per i mesi precedenti allora la cifra dei colleghi cacciati sale, e di parecchio.

Tutti uguale, una telefonata e via, dall’oggi al domani. Le cause, qualche tempo fa erano: guadagni troppo, fatturi poco, non sei previsto nel bilancio, ora sono diventate: non possiamo pagarti, mi spiace ma i business si fanno per fare soldi, non per perderli.

L’altra cosa che ha prodotto l’incazzatura sorda, invece, è la lettera, pubblicata qualche tempo fa, sul corriere della sera 
(alla trentaseiesima pagina, se non sbaglio. Ahah.) da 2200 impiegati dell’azienda per cui lavoro (di un settore che lavora a contatto con il mio) che verranno "esternalizzati". Per chi non sa cosa significa esternalizzare, la spiegazione più veloce e pratica può essere riassunta in una parola: guai. 

 
Bene. A questo punto potrei mettermi ad elencare i problemi che questi licenziamenti causeranno ai miei ex colleghi, 
potrei dire che qualcuno aveva più di un figlioletto da sfamare, qualcuno era venuto a Roma da molto lontano, perché 
in Italia ci sono posti addirittura più disastrati di Roma (che già da sola sembra la Berlino del secondo dopoguerra) 
ma tutto ciò sarebbe davvero scontato e noioso, a mio avviso.

Preferisco porre l’attenzione sul totale sfacelo del mondo del lavoro e sull’inesistenza di tutela sindacale di moltissime 
persone. Se vi dicessi che il governo, anzi, che tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi vent’anni hanno abolito i sindacati, come la prendereste? Penso male, eppure è proprio quello che la nostra grandiosa classe dirigente 
e politica sta facendo. Contratti che spezzano i lavoratori, aziende che assumono a partita iva (le famose false partite iva, di cui faccio poco orgogliosamente parte) ragazzi, più o meno giovani, anche avanti con gli anni e con molta esperienza, che risultano essere dei liberi professionisti, ma non lo sono, pagano cinquemila euro allo stato ogni anno e praticamente non hanno possibilità alcuna di difendersi anche solo da vendette personali di manager influenti e col culo parato. Possiamo poi parlare dei contratti trimestrali che permettono alle aziende di mandare via gente laureata, specializzata e che lavora sodo, senza né una causa (giusta o sbagliata che sia) né un avvertimento. 

Non ti rinnovo e te ne vai, punto. Il bello è che le aziende di cui parlo si arricchiscono in maniera vertiginosa, fusioni, vendite di immobili, agevolazioni statali eccetera. E comunque, quando arriverà "la crisi" sarà l’ultimo anello della catena a subirne le conseguenze, sarà l’unica persona che permette di far andare avanti "il sistema" che verrà travolta. 


Questa è la situazione nella più grande azienda telefonica d’Italia e in molte altre aziende legate a quest’ultima, fra le quali spiccano nomi abbastanza noti (guardate le marche del vostro telefonino).

A voi studenti, se siete all’ascolto, voglio dire una cosa, un pensiero: sappiate che vi sputeranno in faccia nella stragrande maggioranza dei casi. 

Quindi se volete studiare e rimanere in Italia, studiate ciò che preferite, quello che vi piace, siate felici di quel che 

fate momento per momento. E lottate, perchè nessuno lo farà al posto vostro, lottate per i lavoratori e le lavoratrici di oggi, perché potreste diventare come loro domani, lottate per il diritto allo studio e alla dignità della persona. Lottate, oppure (e non vi sto consigliando di farlo), scappate il più lontano possibile da qui. 


 


Allora dove voglio arrivare? Arrivo che mi sono rotto e decido di dare il benservito alla mia azienda, io per primo. La cosa è assolutamente irreale. Tutti i miei colleghi volevano mantenere il lavoro che svolgevano onestamente da anni ed io, l’unico ad averlo mantenuto, quel lavoro, lo vuole buttare via. Sì, perchè la dignità è un diritto, checchè ne pensino i professoroni del "ora le cose vanno così, che vuoi farci?". Io non posso lottare solo contro i capi e capetti che costellano questo posto e non ho un cazzo di nessuno al quale rivolgermi (e sto parlando di colleghi, non di sindacati, per carità, avere un sindacato mi sembra davvero una pretesa troppo grande), quindi basta. Tornerò a studiare, come vi ho modestamente consigliato qualche riga fa (sarebbe la seconda volta in vita mia che seguo un consiglio che viene dalla mia testa), e continuerò a lottare, nel mio piccolo.

 
Epilogo.
 
Ho chiamato il mio tramite in azienda e gli ho detto: "Se non ci sono novità io andrei, se volete trovarmi un sostituto mandatelo, gli farò formazione e poi addio". Sembra che l’abbiano presa bene. Perfetto. Arrivederci e grazie.

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Mai più schiaffi in faccia! Rainbow bus.

Mai più schiaffi in faccia! Rainbow Bus

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Noi, rispondiamo così ai vostri schiaffi.

Lancio l’idea dell’Bus Rainbow, trasformiamo l’offesa subita (schiaffi e botte, violenze psicologiche,  negazioni dei diritti fondamentali, umiliazioni pubbliche e private), in un’iniziativa di visibilità omosessuale e trans/interssuale.

Tutti a bordo! Saliamo in massa con le nostre bandiere rainbow, nei luoghi dell’offesa, che siano bus, metro, treni , ecc..

Idea Flash

Perché: Aggressione del Sabato sera (24 Aprile 2010) alla fermata Trastevere sulla linea Bus N8 a Roma.

Percorso: si sale in quella stazione (Stazione Trastevere) e si scende a Termini.

Come: con le nostre bandiere Rainbow e dei volantini informativi.

Chi volesse partecipare invii una mail a vandilli@gmail.com

#un saluto dal cuore alla Vandilla!!#

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Studio in un’ottica di genere: ecco quanto può giovare a tutt*

Ieri,
ore 17.00 (ce piacerebbe), all’università di Roma La Sapienza,
facoltà di Economia, ho scoperto una donna fantastica: Anna Simone.
E ve ne voglio parlare. È intervenuta nel primo dei cinque seminari
promossi da Link (sindacato studentesco).

Il
seminario ruotava intorno al tema della donna nel lavoro.

Dopo
una serie di martellamenti sulle ovaie da parte di Claudia Bella
della CGIL e di uno sguardo abbastanza poco critico da parte di
Giovanna Indiretto dell’ISFOL sulle donne nel mondo del lavoro, c’è
stato l’intervento di Anna Simone, semplicemente grandioso: ha
parlato di cose come la femminilizzazione del lavoro
e
il bio-capitalismo.

[Ho
preso appunti frenetici, quindi prendete questo breve report come un
invito ad approfondire il pensiero della Simone e di chi ha lavorato
come lei all’argomento.]

(che
ondata di freschezza, che ho sentito…)

Secondo
lei siamo passati ad un periodo di post fordismo, in cui è cambiato
il sistema di produzione. Ora, le richieste fatte a chi offre la
propria forza-lavoro nel mercato, riguardano in particolare la sfera
sessuale, sfera che come ha evidenziato la professoressa riguardava
una volta il privato. Conseguenze immediate?
Il lavoro non
è più scisso dal corpo, dalla sensualità.
Ha
fatto l’esempio degli/delle operatrici/operatori dei call center, che
devono essere sempre gentili, accoglienti, così come le commesse,
cui è richiesta la famosa “bella presenza”.

 

 

Tutto
questo ragionamento è da inquadrare nella sua lotta per il reddito
minimo garantito, perché secondo lei, se i/le laureati/e non possono
scegliere che lavoro fare, quindi
se non c’è libertà di
scelta
e si opta per
un’assunzione in un ambito lavorativo che non c’entra nulla con
quello in cui vorremmo effettivamente lavorare, si deve parlare di
prostituzione di massa,
proprio perché non c’è scelta possibilità di scelta, e di
erotizzazione del lavoro,
cioè il ben noto sfruttamento del corpo e della sensualità dello
stesso nell’ambito lavorativo.

Terzo
concetto molto interessante è stato quello del
lavoro di
cura
, ovvero il caso, appunto,
delle colf e delle badanti, che non hanno una vita privata perché
devono badare agli anziani H24 (e da cui molto spesso devono
allontanarsi per molestie sessuali).

Quindi:
prostituzione di massa, erotizzazione del lavoro, lavoro di
cura.
Queste le nuove categorie
con cui analizzare il mondo del lavoro, inserito in un
sistema
bio-economico,
che
sfrutta quindi la vita stessa.

Da
una parte una sociologa, dall’altra una sindacalista. La Simone, a
mio parere giustamente, diceva alla sindacalista che le lotte non
funzionano, non danno frutti, perché le situazioni odierne vengono
analizzate con una griglia interpretativa vecchia, ancora fordista.

Che,
secondo la Simone, è anacronistica.

Ecco
quindi a cosa può portare uno studio fatto nell’ottica dei gender
studies: scoperte che non riguardano solo le donne, ma giovano anche
agli uomini, ai giovani, alle giovani, e al mondo degli/delle
immigrate.

#la foto, come al solito, è di RiotClitShave#

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Genitore violento? La prole non si condivide.

Ora vi racconto la
mia storia. Magari vi annoierete, però m’importa poco.

 

 


Io, molti anni fa,
sono emigrata. Ho cambiato città. Lo fanno in molti. Noi, cioè mia
madre ed io, siamo andate a vivere con il compagno di lei (ma questa
è un’altra storia). Perché abbiamo cambiato città? Vari motivi.
Lavoro, amore, insomma… Parecchi. In tutto ciò manca però una
figura: mio padre. Io credo, anche se forse lei non lo sa, che in
qualche modo ci volessimo liberare di mio padre. E come dargli torto?
Una persona violenta, nell’anima, un bambino che si metteva la tuta
da lavoro e pretendeva che lo si ascoltasse in quanto uomo e padre.
La spirale di violenza non è finita lì, ma a me interessa questo
passaggio.


Sapete cos’è la
PAS? Immagino di sì. Comunque ve lo ripeto.

È una sindrome,
la sindrome di alienazione genitoriale, detta anche “sindrome della
madre malevola”, inventata da uno pseudo psichiatra statunitense,
secondo il quale il figlio o la figlia che rifiuta di vedere un
genitore sarebbe affett@ da questa malattia, per cui non credibile al
tribunale, anche nel caso in cui sul padre pesino delle condanne per
violenza domestica. La cura? Vedere il padre. Anche se il figlio o la
figlia non vuole.

 

 


Cosa c’entra tutto
ciò con la mia storia? Non credo che mia madre avrebbe potuto fare
quello che ha giustamente fatto, se la stessa storia fosse successa
oggigiorno. La legge che cambierà radicalmente l’affido non è
ancora stata approvata, tuttavia, visto che sta passando in sordina,
e visto che piace tanto alla lega e al piddielle che hanno una
abbondante maggioranza, potrebbe essere approvata.


Io ovviamente
spero di no, e spero che ci saranno mobilitazioni di piazza, ma non
solo, per tentare di innanzi tutto far conoscere lo schifo che stanno
facendo in segreto, e poi per far capire quanto male farebbe alle
donne.


Non so se avete
sentito pure questa notizia, ma le donne uccise per mano degli uomini
della loro vita, superano in numero i morti per mano mafiosa.


Hanno un nome,
queste morti, cioè femminicidi.


Di quanto
aumenterebbero queste morti se l’ex marito potrà continuare a
frequentare la casa?

Io credo che i
signori di lega e pdl siano perfettamente consci di ciò che sta
succedendo. Hanno capito che per controllare le donne un referendum
abrogativo sul divorzio non basterebbe. Hanno capito che ciò che
serve per ritornare al periodo precedente a quando le donne non
potevano divorziare, per toglier loro la libertà, bisogna fare una
legge sull’affido.


Firma la petizione
contro la legge dell’affido
condiviso e leggi il bollettino di guerra
dei femminicidi
.

Buona lotta a
tutt*!

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Se il mondo dei padri piace alla prole

di Olly.

L’altra sera mi domandavo come mai gli stessi e le
stesse che si chiedono come il nazismo abbia potuto sterminare
milioni di ebrei, rom, omosessuali, eccetera eccetera, senza che
nessuno si ribellasse, facciano finta di non capire
ciò che sta succedendo nei cie.

La mia riflessione poteva finire in una pippa
mentale, e invece (wow!) sono giunta ad una conclusione. 

Ho infatti capito che alla radice c’è un fatto non
trascurabile: per la prima volta dagli anni delle rivolte
studentesche, la (passatemi l’espressione strausatissima) nuova
generazione non contesta per la maggioranza quella vecchia.

Il
modello proposto da silvio berlusconi, propinatoci attraverso le sue
televisioni, è piaciuto e piace tuttora ai giovani e alle giovani,
che per la maggioranza infatti decidono di aderirvi a pieno titolo,
addirittura votando la classe dirigente più corrotta che ci sia.
Beninteso, lo sanno perfettamente che sono corrotti/e, razzisti/e,
sessisti/e… e pure un po’ fascisti/e. 

 

 

Ma ho l’impressione che questi ragazzi, queste
ragazze, almeno quelli con cui io parlo più frequentemente [visto
che di questa generazione di cui sto parlando faccio parte], non
siano interessati a cambiare il mondo dei loro genitori. Gli va bene
così com’è. 

Certo, dicono spesso: "No, io non mi sposerei
mai!", quindi in fondo il modello base lo rigettano, rigettano
la creazione di un nucleo famigliare, però è nello stesso nucleo
famigliare che si afferma il prototipo di uomo-sciupa-femmine e di
donna-oggetto. 

Come racconta la Lipperini
nel suo libro, Ancora
dalla parte delle bambine
, (che vi consiglio di leggere
assolutamente se ancora non lo avete fatto), è proprio in famiglia
che le bambine vengono vestite da principessine e obbligate a giocare
a fare la mamma, mentre i maschietti non devono fare le femminucce e
preoccuparsi a giocare alla guerra o con le macchinine, vestiti da
piccoli macho. 

Questo modello, comunque, nel corso degli anni, per
quanto riguarda la mia generazione, non è stato veramente rifiutato.
Le ragazze, parlo di maggioranze, ovviamente, non si sono rifiutate
di ricoprire quel ruolo di stupidi e bei soprammobili pacchiani da
alzare come trofei ai party di famiglia, né i giovani uomini hanno
scelto una via diversa da quella dell’uomo che non deve chiedere
mai. 

Cosa c’entra con la domanda iniziale, vi starete
chiedendo?

Secondo me c’entra. Che votino pdl o meno, che siano
astenuti o meno, che votino addirittura pd, o che ne so io, non è
poi così importante. In fondo la democrazia probabilmente non sanno
nemmeno cos’è, o non lo vogliono sapere, io non lo so perché non ho
mai capito se hanno un’opinione loro, oppure se ascoltano solo quello
che dice la tivvù. 

Quello che so è che non stanno combattendo per i
loro spazi. Forse perchè un po’ credono di averli, forse ne hanno
pure troppo di spazio, ma quello che non sanno è che non è loro,
non se lo sono guadagnato, non l’hanno rivendicato.

Non capiscono che c’è chi ha pensato a procurar loro
dei bisogni, ha costruito loro discoteche, cinema, centri
commerciali, lounge bar, e tutte le minchiate che vanno di moda in
questo momento storico, e gli ha detto: "Ehi! Non avevi forse
bisogno di questo?". E ci si sono buttati dentro. Insomma, è
stata la generazione dei padri e delle madri a dar loro spazi. Non
hanno chiesto niente di più. 

Il paradosso diventa poi enorme nel caso delle
ragazze o dei ragazzi che Erick Gandini racconta così bene in
Videocracy. Quelle persone vogliono aderire al modello di vita creato
da un settantaquattrenne. E sono tante, queste
persone. 

E io credo che i giornalisti e le giornaliste che
parlando di berlusconi a vanvera tralasciano gli attori del futuro
stanno compiendo un errore imperdonabile. Tra poco questa persona
morirà, e, nel bene o nel male molte cose cambieranno.

Il punto allora è: la classe dirigente del domani,
quali valori avrà? Se il mondo che gli hanno dato i padri, e per
essere precisa un settantaquattrenne, gli va bene, cosa faranno?

È proprio in questo punto di non ritorno che c’è la
risposta alla domanda iniziale.

http://www.youtube.com/watch?v=-9AXQGGkgK8

 

http://www.youtube.com/watch?v=-9AXQGGkgK8

 

Nei cie ci sono le persone brutte cattive straniere
schifose oddio ho paura di loro mi rubano il lavoro tutta una vita di
sacrifici e poi quando meno te lo aspetti questi arrivano e ti
mettono in mezzo alla strada eh no io sono italiano io sono buono ma
mica coglione.

Ed ecco qui che la polverini, neogovernatrice della
regione Lazio, fa un saluto romano e nessuno dice niente. 

Ed ecco qui che se il mondo meraviglioso creato dai
padri non viene contestato, è perchè piace! E se arriva qualcuno a
sgombinartelo un pochino, esiste un posto recintato, presidiato, dove
ci pensano le forze dell’ordine a fare il lavoro più sporco, e tu
puoi vivere, sicuro di te, sicura di te. 

Insomma, è la paura a muovere il sole e tutte le
altre stelle. 

Ma poi, alla fine di questo ragionamento, mi sono
ricordata che ci sono i presidi. E c’è la speranza, e che anche se
siamo pochi/e, esistono le iniziative contro i cie, che nella
periferica d’Italia, con il megafono del web, nascono tante
iniziative. Per tentare di liberare queste persone, perché non
vengano più imbottite di psicofarmaci, perché i loro corpi non
vengano più violati, perché possano vivere in libertà. 

#un saluto speciale va a Radio
Città Aperta
, radio di controinformazione ed ottima musica
#

 

 

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|Genere di Periferie| Non toccate la nostra ciccia!

A causa di problemi tecnici questo post, scritto l’8 marzo, viene pubblicato oggi. Tuttavia, siccome per noi l’otto marzo è tutti i giorni, non abbiamo voluto modificare il testo.

Buona lettura!


 


<—————————->

Decidiamo
di dare il via alla rubrica “Genere di Periferie” l’otto marzo
perché crediamo che sia tempo di porre particolare attenzione alla
maniera in cui le donne vengono riprodotte nelle pubblicità che
infestano le periferie in cui viviamo.


La
riflessione nasce dalla mia passione per la fotografia a livello
molto amatoriale, difatti le foto non pretendono di rispettare
tecniche fotografiche, che ignoro totalmente.

Esse
sono una sorta di documenti, che in realtà tutti e tutte potremmo
fotografare. L’idea nasce dal fatto che a mio parere le pubblicità
che rappresentano le donne come mezzo per pubblicizzare un prodotto
finiscono per mettere in secondo piano il prodotto stesso e veicolare
un messaggio ben preciso di femminilità, che, alla fine, influenza
il modo di intendere la donna.

Donna
che non si autodetermina, quindi, che non si sceglie, che non decide
il meglio per sé, ma che ridotta a semplice veicolo, oggetto, resta
muta.


Secondo
la tradizione, l’otto marzo 1908 centoventinove donne manifestavano
per richiedere più diritti in fabbrica. Venne dato fuoco
all’edificio, serrate le uscite, e vi morirono.

C’è
chi dice che questo incendio non ci sia mai stato, ma poco importa,
perché ormai l’otto marzo è il simbolo delle conquiste e delle
lotte femminili.

Negli
ultimi tempi è stato completamente trascurato il suo vero
significato, ma per noi, che è sempre l’otto marzo, è uno dei
giorni dell’anno per dire basta all’assassinio femminile. E non
intendo con questo solo il femminicidio, di cui parla Barbara
Spinelli nel suo libro
, ma anche tutti quegli omicidi sociali rivolti
specificatamente alle donne, al loro essere, alla loro interiorità.

Omicidi
sociali che si consumano anche, io credo, nella rappresentazione
reiterata di una donna che non esiste, e che nel
tentativo di
raggiungere i suoi standard irraggiungibili, il tutto sfoci in una
repressione dell’Io, per poi dare vita a disturbi più o meno gravi
che affliggono le donne.

Spesso
modificata al computer, l’immagine pubblicitaria femminile viene poi
affissa su pannelli 6X8 che padroneggiano sulla città.

Parlare
di omicidi sociali reiterati, rischia di eludere le responsabilità,
così come dire che “il colpevole è la società”.

Per
limitarsi solo al caso delle cosiddette pubblicità sessiste, in
realtà i responsabili sono tutti coloro che si occupano di politiche
pubblicitarie.


E
per cominciare la nostra rubrica, scegliamo la pubblicità che da
mesi è affissa sui pannelli di Roma, dal centro alla periferia, ma
soprattutto nella periferia, dove la concentrazione di popolazione è
più alta e quindi il prodotto più richiesto: quella dei Centri
Dimagranti Sobrino.

Lo
slogan, che recita “Centri Dimagranti Sobrino, magri come un
grissino”, rivolgendosi quindi ad un pubblico eterogeneo, in realtà
si rivolge specificatamente alle donne.

Infatti
l’immagine più diffusa dai centri dimagranti, è questa qui sopra:
una donna dai capelli lunghi e senza movimento, occhi vitrei e vuoti,
un po’ spalancati, pelle lucida di plastica, sopracciglia perfette e
denti bianchissimi: potrebbe far invidia a Barbie-chirurga.

A
ben osservare l’immagine, tra l’altro, si può notare come la bocca
non sia piegata in un sorriso, ma che sia semplicemente un po’
tirata, a mo’ di ghigno.


L’idea
di felicità che si tenta di trasmettere dall’equivalenza
magri/e=felici, fallisce magicamente osservando proprio la natura
profonda di questo sponsor.


Altri
manifesti affissi dai centri dimagranti rappresentati in formato più
piccolo ma altrettanto diffusi, sono quelli in cui c’è il famoso
“prima” e “dopo” la cura dimagrante.

C’è
sia la versione femminile, che si può vedere qui, sia quella
maschile che è però misteriosamente stata tolta subito (forse
funzionava troppo poco per gli uomini?).


La
donna grassa è chiaramente meno felice di quella più magra, il
grasso suggerisce alla vista qualcosa da cui si vuole distogliere
velocemente lo sguardo in favore della versione magra e atletica
della stessa persona (anche se non ci metterei la mano sul fuoco che
è veramente la stessa…).


Il
ruolo svolto dalle due immagini è ovviamente la promessa
dell’ottenimento, hic et nunc, della felicità tramite una
dieta dimagrante. Non importa quello che voi siate, quello che
facciate, se avete partorito uno, due, tre figli, se non avete
abbastanza soldi per garantirvi un’alimentazione equilibrata perché
siete precarie oppure sottopagate in quanto donne, e si sa, i cibi
più grassi sono quelli che costano di meno, oppure non vi potete
permette di praticare uno sport sempre per gli stessi motivi; non
importa nemmeno se riuscite a mangiare con costanza o meno, se ce
l’avete la pausa pranzo, e se ce l’avete, come dovete gestire quel
tempo.


Non
importa.


In
nome della felicità, voi dovete andare al centro dimagrante, per
diventare come barbie-chirurga (bè, forse chirurga non lo sarete
mai… Quello è un lavoro da uomini. Al massimo barbie-sexy
infermiera, fatte apposta per piacere al vostro Lui!), rettifico, per
diventare come barbie-sexy infermiera, ed essere finalmente felici.


Come
Lui vi vuole.


 


 #qui sotto, altre foto scattate lungo le maggiori strade ad alto scorrimento della Periferica romana; grazie a Clito per essersi prestato alla fotografia acrobatica#



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Modesta risposta a Marco Travaglio.

di
Olly

La
lettera di Marco Travaglio a Santoro, pubblicata sul Fatto, è stata
letta tantissimo, e una parte del mondo del web social-confusa si sta
strappando i capelli nel leggere che forse il giornalista più amato
e più applaudito del giovedì sera, forse non sarà più presente
alla trasmissione AnnoZero.

Effettivamente,
devo ammettere, la lettera è quasi commovente. Quasi ci stavo
riuscendo, a farmi distrarre dal problema della reputazione di
Travaglio. Però mi è saltata all’occhio una sua affermazione: “La
maledizione della par condicio, dovuta alla maledizione di
Berlusconi, impone la presenza simmetrica di ospiti di destra e di
sinistra. E quando si tratta di politici, pazienza: la loro allergia
ai fatti è talmente evidente che il loro gioco lo capiscono tutti.
Ma quando come l’altra sera, ci si confronta fra giornalisti, anzi
fra iscritti all’albo dei giornalisti, ogni simmetria è impossibile
[…]”.


Ammetto
che non m’importa nulla della sorte di Travaglio. Però lo devo
ringraziare, perché mi permette di poter parlare di un argomento che
mi sta molto a cuore: la casta dei giornalisti. Eh già. Lui infatti
parte dal presupposto che il confronto possa avvenire solo tra
informatori (i giornalisti) iscritti all’albo, parte dal presupposto
che l’iscrizione all’albo sia la garanzia necessaria per potersi
confrontare tra giornalisti.


E
tutti giù ad applaudire.


A
me questa cosa riguarda personalmente, per questo mi sono tanto
incazzata e non mi dà fastidio ammetterlo: i blog, questo blog,
nasce dal fatto che noi non abbiamo voce. E che il problema
dell’informazione è proprio l’ordine dei giornalisti. Se non si è
iscritti all’albo, non si può aprire un giornale.

Proprio
per l’esistenza dell’ordine si creano le testate grosse, importanti,
che possono essere oggetto di finanziamenti pubblici e di conseguenza
di una informazione imbavagliata, che Travaglio tanto critica. In
realtà essere iscritti all’albo, accettare l’albo stesso, vuol dire
stare con il regime. Non contro.


Perché
scrivo questo su Periferica?

Perché
molti di noi vorrebbero poter esprimersi su carta, ma questa cosa non
è possibile, perché nessuno di noi è iscritto all’albo. Abbiamo
vent’anni, com’è possibile esserlo?


E,
per inciso, l’idea di ordine dei giornalisti viene pensata e attuata
proprio sotto il fascismo. Per questo veramente non capisco e non
solidarizzo con Travaglio. Non posso, perché di delle conseguenze di
ogni cosa che dice (oltre ad avere un grosso seguito mediatico) ci si
lamenta. Credo che se si fanno delle scelte, si portano avanti con
tutte le responsabilità che ne derivano, non si può stare con due
piedi in una scarpa e lamentarsi che si è scomodi.


L’ordine
va rifiutato, se si vuole iniziare una vera lotta per la libertà di
stampa, in maniera che chiunque possa diventare informatore,
attraverso il web, ma perché no?, anche attraverso il cartaceo, che
ora tutti dicono stia scomparendo.

Ma
certo che scompare. Se chi ci scrive è sottoposto alla censura
preventiva del direttore responsabile, il quale rischia penalmente
per ciò che si scrive, è ovvio che si preferirà il web, libero
(forse ancora per poco) da censure, rispetto a giornali di notizie
filtrate.


L’esistenza
stessa dell’albo permette a Travaglio di poter stare dove sta, con il
suo status, senza che nessuno gli dica “che cacchio vuoi, tu?”

Sapendo
che lui, alla fine dei giochi, sta dalla parte di B., allora è tutto
un altro discorso.

#la foto è di Riot Clive Shave#

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Puttantour, questione di periferie

Quello che leggete qui sotto è il post che potete trovare, nella sua versione originale, qui su Femminismo A Sud:

"Nelle città nordiche, ma anche in quelle del sud, c’è la passione per un passatempo che non ha età e che generalmente ha un sesso.

Il puttan tour è
quella cosa che alcuni fanno quando rientrano dalla discoteca, da una
serata al pub, da una cena con gli amici. C’è chi esce apposta per fare
esclusivamente quello. 

Non sono solo maschi che vanno a puttane. Sono tanti maschi che infastidiscono le sex workers.

Immaginate la
scena: le ragazze sono fuori, al freddo, a tentare di guadagnarsi il
pane e i soldi per campare il magnaccia. Vedi arrivare una macchinetta
di studentelli o di giovani idioti. Qualche volta sono adulti, hanno
moglie e figli, e sono in vena di goliardie.

Il puttan tour
per alcuni consiste nello sfottere. Perchè questi individui ritengono
che essendo le ragazze lì in offerta somigliano un po’ a tanti bersagli
da abbattere al tiro a segno. Se ne butti giù un paio vinci un peluche.
Immaginano che abbiano il diritto di sfotterle, fare perdere tempo,
offenderle, disprezzarle. Un comune passatempo, come fare uno scherzo
al telefono o suonare i campanelli ai portoni dei condomini.


Qualche volta

si avvicinano, prima con tono gentile, sul sedile dietro c’è quasi
sempre quello timido che sghignazza. Fa più paura di tutti perchè ha lo
sguardo allupato. Chiedono "quanto vuoi?" e le ragazze lo dicono e
quelli giù a ridere senza preoccuparsi di niente.

Non le vedono
come esseri umani. Sono oggetti, giochini divertenti, puoi farci quello
che vuoi. Quelli che fanno i puttantour pensano di avere ogni diritto e
dunque se una di loro si arrabbia e dice che non ha tempo da perdere il
branco risponde male, la insultano e infine la chiamano troia e puttana
come se l’obiettivo vero in fondo fosse proprio quello di insultare una
donna senza doversi preoccupare di giudizi e regole.

Non si preoccupano
di sapere chi sono, da dove vengono, che storia hanno, se stanno bene o
stanno male. Loro sono "bravi ragazzi", ben pettinati, magari di buona
famiglia, che studiano e forse lavorano. Sembrano perfino timidi e
sfidano la sorte quando si avventurano in quelle esibizioni perchè
pensano di superare la barriera della trasgressione. Vanno in gruppo
perchè si incoraggiano a vicenda e perchè hanno bisogno di complici per
condividere la parte molesta di ciò che stanno facendo.

Chiedono
"quanto vuoi?" e poi chiedono se si può vedere la mercanzia, come se
non avessero internet e non potessero guardare un video su youporn per
farsi una sega. 


Il puttan tour

a volte è perfino un viaggio di iniziazione. "Ci parli tu, capito?" ed
è così che deve andare. Il ragazzetto deve parlarci, rivolgere la
parola a quelle lì per mostrare coraggio e deve dire cose precise
perchè l’iniziazione non passa per il consumo di quel corpo ma per
l’offesa a quella persona. Bisogna insultarla per diventare un "vero
uomo". Bisogna ferirla con sorrisini, sarcasmo e battute idiote, perchè
lei e lì e ne ha viste di tutti i colori e deve sopportare anche i
piccoli branchi di coglioni che al sabato sera fanno "qualcosa di
diverso" per vincere la noia.


Bisogna dirlo
,
ai padri e alle madri di questi fanciulli, che quando denunciano il
"degrado" delle puttane per strada stanno puntando il dito contro la
forma di "degrado" sbagliata. Il problema non sono quelle ragazze. Il
problema sono i loro figli che considerano le donne come fossero una
giostra.

Venghino siori venghino, altro giro altra corsa."

 

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Non torneremo più ad essere figl* della lupa

di Olly.

Simonetta Salacone, preside della scuola elementare Iqbal Masih di Centocelle, popoloso quartiere multietnico di Roma, ex candidata alle europee del 2008 per SeL, ha deciso di non far celebrare la giornata delle foibe nella sua scuola.

Come da tradizione.

Da quest’anno invece, grazie alla ministra giorgetta e al virilissimo sindaco di Roma, e con la straordinaria partecipazione dell’assessore alle Politiche Giovanili marsilio, le scuole hanno celebrato questa giornata. 

Niente di male fin qui. Se non che la Preside Salacone, che già in passato si era rifiutata di far celebrare a scuola i patriottissimi due minuti di silenzio per i soldati morti in Afghanistan, è stata duramente attaccata dal sindaco, e probabilmente verrà destituita dal suo incarico di preside, perché si è rifiutata di parlare in un certo modo di una tale tragedia. 

Ha fatto bene, anzi benissimo, a mio parere, a non parlarne. Non perché sia un tabù: parliamone delle foibe, eccome. 

Ma, io mi chiedo, se esiste solo un discorso politico e non uno storico (e quel poco di discorso storico che c’è è ancora in progress), com’è possibile presentarlo a bambine e bambini tra i sei e i dieci anni? Il tutto si sarebbe ridotto ad una "giornata dell’odio", in cui non si sarebbe veicolato nient’altro che un messaggio, e cioè quanto sono cattivi i comunisti, tormentone di moda da un po’ di tempo a questa parte. 

La Salacone ha fatto bene a non esporre i suoi alunni e le sue alunne al tranello della stereotipizzazione del buono e del cattivo, così come si è fatto finora, d’altronde, della giornata dedicata alle vittime della Shoah: non si è condotto un discorso costruttivo, infatti ora siamo tornati ad essere fascisti e fasciste, solo che non lo sappiamo più, perché non c’è più quello stile futurista, quella parlantina del ventennio che oggi ci fa tanto ridere. 

Oggi siamo più avanti: respingiamo i "clandestini" alle frontiere, li ributtiamo in mare incontro a morte certa. Non costruiamo più camere a gas, né forni crematori. C’è il mare, il freddo, la notte e la tempesta a fare il lavoro sporco al posto nostro. 

Ecco perché la Preside ha fatto bene a rifiutare l’invito delle istituzioni: senza un dialogo vero, non c’è un futuro possibile.

Esprimo tanta solidarietò alla Preside che si è sempre distinta per le sue scelte didattiche volte a non fare della sua scuola un contenitore ideologico.

#la foto è stata presa da www.anpi.it#

 

 

 

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partitodemocristiano.vat

di Olly e Clito.

Una foto scattata da Il Russo. 

Ecco cosa ne pensa il partito democratico dello sgombero fascista dei campi Rom di Roma: 

 

 

 

Ovviamente il pd (leggasi: partito democristiano) preferisce pavimentazioni linde e pinte, al rispetto dei diritti umani. 

Già ne avevamo parlato qui.

Ma crediamo che, a volte, una vignetta (soprattutto se di Spataro), sia molto meglio di mille discorsi. 

 

 

 

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